L’ulivo, pianta iconica della regione mediterranea, non è solo il custode di una delle eccellenze gastronomiche più pregiate, ma riveste anche un ruolo cruciale nel combattere gli impatti ambientali dovuti ai cambiamenti climatici.
Oggi parliamo con Vincenzo Buonfiglio, dottore agronomo, di come questa pianta possa aiutare a contenere i cambiamenti climatici.
L’ulivo può contribuire positivamente al cambiamento climatico?
Certo. L’ulivo è una pianta con un’elevata capacità di fissazione del carbonio poiché durante la fase di fotosintesi assorbe la CO2 atmosferica attraverso strutture composte da cellule vive chiamati stomi, che consentono l’ingresso dell’anidride carbonica all’interno della foglia dove in concomitanza con l’energia solare e acqua permettono la formazione di zuccheri ed energia per le piante, dando come sottoprodotto ossigeno che verrà immesso nell’ atmosfera dagli stomi stessi, rendendo possibile la vita sulla terra.
Come è possibile ottenere un assorbimento ottimale?
Per ottenere un maggior contributo in termini di cattura della CO2 è necessario che il processo di fotosintesi sia il più prolungato possibile. L’ulivo è particolarmente adatto in tal senso poichè ha un ciclo vegetativo che dura gran parte dell’anno, garantendo l’attività fotosintetica in più stagioni (in funzione della radiazione solare fotosinteticamente attiva), a differenza di altre specie coltivate che con l’inizio della caduta delle foglie interrompono gradualmente la propria attività vegetativa.
Inoltre l’ulivo è una pianta longeva e infatti gli ulivi possono vivere per molti decenni o anche secoli. La loro lunga durata contribuisce a mantenere un’attività fotosintetica costante nel corso del tempo, permettendo all’ulivo di assorbire grandi quantità di carbonio durante la sua vita.
La capacità dell’ulivo di assorbire e immagazzinare il carbonio contribuisce alla mitigazione del cambiamento climatico, riducendo la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera.
Ma quanta anidride carbonica può catturare un albero?
La quantità di anidride carbonica (CO2) assorbita da un ulivo può variare in base a diversi fattori, tra cui l’età dell’albero, le condizioni climatiche, la qualità del suolo, la gestione agronomica e la varietà dell’ulivo. Una stima approssimativa suggerisce che un albero di ulivo adulto può assorbire circa 10-15 chilogrammi di CO2 all’anno, capacità che aumenta con l’età dell’albero. Inoltre, fattori come la fertilità del suolo e la presenza di altre piante o copertura vegetale influenzano l’efficienza dell’assorbimento di CO2.
Sebbene la quantità di CO2 assorbita da un singolo ulivo possa sembrare relativamente modesta, è essenziale considerare la vastità degli uliveti e il numero totale di alberi presenti. Gli uliveti ben gestiti, quando considerati nella loro totalità, possono contribuire in modo significativo alla cattura complessiva di carbonio e alla mitigazione dei cambiamenti climatici.
Dai dati ISTAT sappiamo che nel 2023 erano presenti circa 1,13 milioni di ettari destinati all’olivicoltura. Per facilità di calcolo, sottostimiamo la presenza di alberi ad ettaro a 100 alberi e otteniamo un numero complessivo di circa 113 milioni di alberi. Considerando un valore medio di 12,5 kg di CO2 assorbiti da una singolo albero, otteniamo un assorbimento complessivo annuo pari a 1,4 milioni di tonnellate all’anno.
Per fornire un punto di riferimento più intuitivo, consideriamo le stime delle emissioni medie di CO2, valutate a 160 g/km, e consideriamo un’autovettura con una percorrenza media di 10.000 km/anno. Da ciò possiamo calcolare che un’auto emette approssimativamente 1,60 tonnellate di CO2 all’anno.
Da questo si conclude che gli oliveti italiani consentirebbero di neutralizzare le emissioni di CO2 equivalenti a circa 882.800 veicoli ogni anno.
L’ulivo ha delle caratteristiche che possono aiutarci a contenere e gestire i cambiamenti climatici?
Si. Gli ulivi sono noti per la loro capacità di adattarsi a diverse condizioni climatiche molto più di altre colture, grazie alla loro rusticità e ampio volume di suolo esplorato dalle radici, la cui crescita rispetto alla parte aerea è più rapida. A tal proposito basti pensare che la quantità di acqua disponibile per pianta può essere superiore fino a quasi 10 volte di più di altre specie coltivate. In situazioni di scarsità d’acqua, l’ulivo può chiudere parzialmente gli stomi per ridurre la perdita d’acqua attraverso la traspirazione, continuando a svolgere efficacemente la fotosintesi. Tale capacità è dettata dalla conformazione delle foglie e dal numero molto elevato di stomi presenti.
Chiudiamo ringraziando Vincenzo Buonfiglio per aver voluto rispondere alle nostre domande e chiedendo il suo punto di vista sul futuro dell’olivicoltura come risposta ai cambiamenti climatici.
Grazie per l’intervista. Aggiungo a tutto quello che è stato detto in precedenza da un punto di vista della sostenibilità e sequestro del carbonio, l’olivicoltura rivestirà un ruolo sempre più rilevante al pari delle altre classiche colture (agrumi, pomacee, drupacee ecc.) grazie alla riduzione dei sesti di impianto e ad una meccanizzazione che porterà ad un risparmio di tempo nelle operazioni colturali e soprattutto per via della facilità di adattamento ai cambiamenti climatici, garantendo sempre una qualità elevatissima dei nostri olii, rendendo questa specie non più marginale rispetto ad altre.

Vincenzo Buonfiglio
Dottore agronomo